Con il monitoraggio e l’intensificazione terapeutica basata sui biomarcatori di infiammazione si riduce il numero di ricoveri legati alla malattia di Crohn precoce.
Ecco ciò che è emerso da uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Lancet.
La malattia di Crohn ed i numeri
Si tratta di una delle due principali malattie infiammatorie intestinali insieme alla colite ulcerosa.
Il morbo di Crohn può manifestarsi a tutte le età. Tuttavia, l’incidenza più elevata si ha tra i 15 e i 35 anni e oltre i 65 anni, anche se non sono rari i casi riscontrati nei bambini.
Oggi non esiste un Registro Nazionale e i dati non sono molto attendibili. Sulla base di una ricerca svolta da A.M.I.C.I. (Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) si calcola che in Italia ci siano almeno 100.000 persone affette da malattie infiammatorie croniche intestinali, di cui probabilmente il 30-40% affetto da morbo di Crohn.
I sintomi includono diarrea, dolori addominali e crampi e ulcere intestinali.
Lo studio
I ricercatori dei 74 centri di tutto il mondo coinvolti (Europa, Stati Uniti, Giappone, Sud Africa e Israele), hanno dimostrato che la tempestiva intensificazione di terapia con farmaci biologici anti-TNF (inibitori dei fattori di necrosi tumorale, una citochina che regola le cellule del sistema immunitario), sulla base di sintomi clinici associati a biomarcatori nei pazienti affetti da malattia di Crohn di recente diagnosi, comporta migliori risultati clinici ed endoscopici rispetto al trattamento basato solo sui sintomi, con guarigione delle ulcere intestinali e riduzione del numero dei ricoveri ospedalieri.
Lo studio è stato condotto in 22 Paesi e coinvolto pazienti adulti con malattia di Crohn precoce mai esposti a terapia immunosoppressiva o biologica.
Le considerazioni
Il professor Silvio Danese, fra gli autori dello studio e responsabile del Centro Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali di Humanitas, spiega: “Questo lavoro rivoluziona la strategia di trattamento della malattia di Crohn poiché dimostra che i sintomi da soli non sono un parametro sufficiente su cui modificare la terapia di mantenimento della remissione a lungo termine dei pazienti, mentre il monitoraggio stretto e l’intensificazione terapeutica basata sui biomarcatori di infiammazione può portare a una migliore guarigione delle ulcere intestinali, all’assenza di sintomi e a ridurre il numero dei ricoveri ospedalieri legati alla malattia”.
Le conclusioni
Conclude Danese: “I biomarcatori di infiammazione intestinale sono usati nel monitoraggio dei pazienti con malattia di Crohn, ma non vi è ancora certezza sul fatto che il loro utilizzo nel monitorizzare l’attività di malattia e modificare la terapia in base a questi migliori i risultati nel lungo termine nei pazienti. Abbiamo cercato di confrontare i risultati endoscopici e clinici nei pazienti con malattia da Crohn moderata o grave che sono stati gestiti con un algoritmo di monitoraggio stretto, utilizzando i sintomi clinici e i biomarcatori, rispetto a quelli dei pazienti gestiti con un algoritmo di gestione clinica (solo sintomi clinici)”.