Problemi intestinali come il morbo di Crohn potrebbero essere migliorati, o addirittura invertiti, attraverso l’inserimento nella propria dieta di grassi buoni, come la frutta secca, l’olio di oliva ed i semi di soia.
La malattia di Crohn
La malattia di Crohn è una delle due principali malattie infiammatorie intestinali insieme alla colite ulcerosa. Nel mondo occidentale entrambe sono in continuo aumento e, ad oggi, circa 1,4 milioni di persone soffrono di IBD solo negli Stati Uniti. I sintomi includono diarrea, dolori addominali e crampi e ulcere intestinali.
Diversi studi hanno dimostrato che la malattia di Crohn è caratterizzata da disbiosi microbica, cioè uno spostamento delle popolazioni microbiche che abitano nell’intestino, di cui è difficile scoprire sia la causa che l’effetto. Un cambiamento nel microbiota intestinale infatti può causare infiammazione ma può anche verificarsi il contrario. Prima di essere diagnosticata con IBD, i pazienti spesso ricevono antibiotici per impedire l’infezione presunta dell’intestino causando un potente impatto sulle popolazioni microbiche che vivono nel nostro intestino.
Il ruolo dei grassi insaturi di origine vegetale nell’intestino
I grassi buoni modificano i batteri nell’intestino, noto come microbioma.
Nello studio effettuato dai ricercatori della Case Western Reserve University è stato inoltre scoperto come i grassi buoni di origine vegetale, che si trovano, tra gli altri, nella frutta secca, nell’olio d’oliva e in quello di girasole, riducono i tipi di batteri collegati a Crohn di circa il 30 per cento. Permettono infatti di ridurre alcuni sintomi dolorosi collegati alla malattia quali gonfiore, crampi e diarrea.
Nel futuro
Poiché tali grassi riducono l’infiammazione, potrebbero avere gli stessi effetti benefici anche su altri disturbi infiammatori dell’intestino.
Le conclusioni
“La scoperta è notevole perché significa che un paziente di Crohn potrebbe avere un effetto benefico sui suoi batteri intestinali e sull’infiammazione solo modificando il tipo di grasso nella loro dieta” conclude il ricercatore a capo dello studio Alexander Rodriguez-Palacios. “I pazienti dovrebbero solo sostituire un grasso «cattivo» con uno «buono»”.
Fonte:
https://www.sciencedaily.com/releases/2017/06/170622121911.htm